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       TRIBUNALE DI PISA 
        - Sent.
        n. 726/03 NEL
        NOME DEL POPOLO ITALIANO  Il
        Giudice d. L. -dr. Gaetano SCHIAVONE- ha pronunciato la seguente  S E N T E N Z A   nella
        causa di Lavoro iscritta al n.388/03 - R.G.C., decisa all’udienza del
        10. 12. 2003 e promossa da ......... 
        elettivamente
        domiciliati in Pisa presso lo studio dell’Avv. Michela Matarazzo che
        li rappresenta e difende  per
        procura nel ricorso introduttivo.  RICORRENTI
        C/  MINISTERO
        DELLA GIUSTIZIA, in
        persona del dr. N. C, Capo Dipartimento dell’Organizzazione
        Giudiziaria del personale e dei servizi, domiciliato per la carica in
        Roma, via Arenula 70, rappresentato e difeso dal dr.***, dirigente in
        servizio presso il Tribunale di Rovereto, per designazione in atti,
        conferita in forza dell’art. 417 bis co. 1 c. p. c. 
         RESISTENTE
        OGGETTO:
        Differenze retributive su 13^ mensilità  Il
        procuratore di parte ricorrente ha così concluso: Voglia
        il Giudice, respinta ogni contraria eccezione e difesa, dichiarare il
        diritto dei ricorrenti alla corresponsione della tredicesima mensilità
        in misura pari alla “ normale retribuzione “, calcolandola,
        pertanto, in ragione di tutti gli elementi fissi e continuativi
        percepiti a titolo di retribuzione fissa mensile, ivi compresa,
        pertanto, l’indennità di amministrazione. Il tutto, dal momento in
        cui detta voce è stata inserita – dalla contrattazione collettiva –
        quale “ elemento fisso e continuativo “ della retribuzione, cioè
        dal CCNL 1994/1997.  Con
        interessi e rivalutazione su quanto dovuto, dalle singole scadenze al
        saldo. con vittoria di spese e diritti a favore del sottoscritto
        avvocato antistatario.  Il
        procuratore del Ministero della Giustizia :
        1) Voglia il Giudice in via preliminare, sospendere il giudizio per
        permettere l’esperimento del prescritto tentativo di conciliazione; 2)
        chiede il deferimento della questione pregiudiziale di interpretazione
        dell’art. 17, comma 11 CCNL Ministeri sottoscritto il 16. 05. 2001 nei
        modi e nei termini di cui sopra; 3) voglia il Giudice, nel merito,
        previa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ARAN, il
        rigetto del ricorso.
         Nella
        denegata ipotesi di accoglimento della domanda si eccepisce la
        prescrizione delle somme maturate nel periodo anteriore al quinquennio
        entro il quale è stato proposto il ricorso e ci si oppone alla
        richiesta di cumulo di interessi e rivalutazione sulle somme arretrate,
        poiché nella specie vige il divieto di cumulo delle due voci, così
        come disposto dall’art. 22 legge n. 724/94, che limita la liquidazione
        ai soli interessi legali per i crediti di natura retributiva e
        previdenziale maturati successivamente al 31. 12. 1994.  SVOLGIMENTO
        DEL PROCESSO                 
        Con ricorso depositato il 9. 04. 2003, i ricorrenti di cui in
        epigrafe convengono innanzi a questo Giudice il datore di lavoro,
        Ministero della Giustizia, per sentirlo condannare al pagamento della
        tredicesima mensilità in misura pari alla normale retribuzione.
        Ritengono infatti, i medesimi che nel calcolo debbano entrare a far
        parte tutti gli elementi fissi e continuativi, ivi compresa l’indennità
        di amministrazione fino a quel momento, al contrario, pretermessa.  La
        domanda è estesa alla condanna degli arretrati, aumentati degli
        interessi legali, calcolati sulle somme rivalutate, a far tempo
        dall’istituzione dell’indennità di amministrazione.                 
        Si costituisce il Ministero chiedendo il rigetto del ricorso.  In
        rito viene eccepita l’improcedibilità per mancato esperimento del
        tentativo obbligatorio di conciliazione. E’ pure domandata la chiamata
        in lite dell’ARAN.                 
        Nel merito, il Ministero insiste per il rigetto poiché le
        argomentazioni di parte ricorrente si scontrerebbero con una chiara
        volontà negoziale, espressa nell’art. 17, com. 11, CCNL-2001, ove è
        espressamente detto che l’indennità di amministrazione “è
        corrisposta per dodici mensilità”. In ogni caso, invoca la
        rimessione degli atti, ex art. 64 D. Lgs. n. 165/01, ritenendo
        pregiudiziale la reinterpretazione in forma autentica del ridetto art.
        17.  Comunque
        viene eccepita la prescrizione quinquennale dei crediti.  MOTIVI                
        Il ricorso è fondato e va accolto.  QUESTIONI
        IN RITO
                       
        Innanzitutto va esclusa l’improcedibilità del ricorso, in
        quanto risulta versata in atti copia della ricevuta di recapito al
        Ministero, in data 6. 11. 2002, della raccomandata  contenente la richiesta di convocazione del Collegio pisano
        di conciliazione. Poiché il ricorso giudiziale è stato depositato il 4
        aprile 2003, si può concludere per il rispetto dei termini di legge
        (art. 65 T.U. n. 165/01).                 
        Del pari infondata è la richiesta di remissione degli atti
        all’ARAN per la reinterpretazione di cui all’art. 64 T.U. n. 165/01.
         Deve convenirsi che questa procedura non può essere stata prevista dal legislatore come comoda alternativa alla normale attività interpretativa giurisdizionale. E’ evidente che si può ricorrere ad essa solo allorquando il Giudice, istituzionalmente preposto a dire quale sia la regola del caso concreto, pur avendo applicato tutte le tecniche interpretative della norma e degli atti collettivi, ritenga che nella lettera e nello spirito di quest’ultimi permanga un ambito di totale ambiguità, sia per contrasto fra gli stessi che con norme dispositive. Nel
        caso in esame, la stessa parte eccepente ritiene, in sostanza, che non
        vi sia alcuna dubbio interpretativo, poiché il testo dell’art. 17
        CCNL cit., risulterebbe talmente chiaro da portare all’immediata
        reiezione della domanda. D’altra parte, i ricorrenti ritengono che
        un’interpretazione sistematica della legge ed un’armonizzazione del
        sistema porti, invece, all’accoglimento della loro tesi.  In effetti, anche questo Giudicante esclude che, al di là della fisiologica ermeneutica, permangano zone di ombra interpretativa e che non si possa giungere al risultato di un’armoniosa applicazione delle disposizioni vigenti. Per quanto attiene alla chiamata in causa dell’ARAN non può dirsi che ricorra alcuno dei casi di cui agli artt. 102, 106, 107 cpc.- L’Agenzia è sì rappresentante negoziale delle amministrazioni dello Stato ma non processuale. E’ vero, il TU. n. 165 (e il D. Lgs. n. 29/93) assegna all’ARAN, anche nella fase processuale, alcuni ruoli. Oltre a quello sopra visto, relativo alla remissione a fini di reinterpretazione in forma autentica, di concerto con le altre parti collettive, delle norme contrattuali di dubbia lettura, è pure previsto che l’ARAN e le OO.SS. firmatarie intervengano in lite, ovvero presentino delle memorie, anche senza il previo intervento (art. 65, com. 5, TU. n. 165/01).                
        Escluso che si possa parlare di intervento ad
        escludendum, ovvero adesivo autonomo (art. 105, com. 1, parti I e II,
        cpc.), non potendo vantare alcuna autonoma posizione di diritto e
        ritenendo che, al più si possa accedere alla figura di un intervento
        simile a quello ad adiuvandum (art. 105, com. 2, cpc.), ne discende, però, che sia
        onere di chi abbia interesse all’intervento, effettuare una notifica,
        nelle forme della denuncia di lite, al fine di provocarne la presenza in
        causa. D’altronde, se il legislatore avesse voluto assegnare all’ARAN
        la veste di parte processuale in difesa di un diritto autonomo, avrebbe
        disposto in tal senso facoltizzando il Giudice, mentre ha rimesso alla
        autonoma e discrezionale scelta dell’Agenzia la valutazione circa
        l’intervento o meno in causa.  MERITO
        
                       
        Al fine di penetrare compiutamente il merito della questione
        appare utile prendere le mosse da una riflessione in punto di
        retribuzione. In sostanza, bisogna rilevare che in materia esiste fra
        dottrina e giurisprudenza, al di là delle rituali petizioni di
        principio, un divario sostanziale e non meramente nominalistico.  Insomma, mentre tutti concordano (apparentemente) nel prendere le distanze da una definizione omnicomprensiva, cioè unitaria, di retribuzione che valga per ogni ipotesi di lavoro remunerato, puntualizzando che deve farsi ricorso alle discipline collettive ed individuali dei singoli rapporti, di fatto, poi, il Giudice di legittimità, non rinuncia a quel concetto le volte in cui sia in gioco una disciplina di carattere legale (cfr.: Cass. n. 1883/99). Ciò, molto più semplicemente, vuol dire che nel caso in cui un istituto trovi disciplina nella legge, la contrattazione collettiva cede il passo di fronte alla definizione che unitariamente ne dà il disposto normativo.                
        Sulla base di questa premessa pare utile ricordare che una
        retribuzione aggiuntiva rispetto alle dodici annuali (“pari
        alla retribuzione mensile percepita (…) da corrispondersi normalmente
        alla vigilia di Natale”) fu originariamente prevista per gli
        impiegati dell’industria dal CCNL 5. 08. 1937. L’accordo
        interconfederale del 27. 10. 1946 sul trattamento economico dei
        lavoratori dell’industria estese l’istituto, con denominazione di
        gratifica natalizia, anche agli operai. In quell’accordo, reso
        efficace erga omnes con DPR.
        n. 1070/1960 (Cass. n. 7599/92; conf.: n. 3089/80, 2198/80), fu
        ulteriormente precisato che la mensilità aggiuntiva andava calcolata
        “sulla base della retribuzione
        globale mensile di fatto”. Veniva, quindi, accentuata, rispetto la
        formulazione del 1937, che il parametro di riferimento doveva essere
        tutto quanto globalmente e mensilmente fosse percepito nel corso del
        rapporto. E, quindi, il riferimento doveva essere a tutte le voci
        (nessuna esclusa, secondo un’accezione globale) che, non
        episodicamente (infatti: tutti i mesi), fossero corrisposte a titolo
        retributivo.  Dietro questa scia si pose, poi, tutta la contrattazione degli anni a venire. Sul
        versante dei dipendenti statali le mosse vanno prese dal DLCPS. 25. 10.
        1946, n. 263 (significativamente coevo all’Accordo interconfederale),
        il quale all’art. 7, com. 2, dopo aver riconosciuto come
        gratificazione una tredicesima mensilità da corrispondere a tutto il
        personale alla data del 16 dicembre, stabilisce che essa vada “commisurata
        al trattamento economico complessivo spettante alla data suindicata per
        stipendio, paga o retribuzione e indennità di carovita (…)”.
        Anche qui, dunque, il riferimento è inequivoco ad una mensilità
        stipendiale che abbia lo stesso contenuto delle altre periodicamente
        corrisposte nei dodici mesi dell’anno, restandone escluse solo le
        quote complementari (di famiglia); d’altronde i commi successivi
        proseguono prevedendo che il caso di riduzione dello stipendio o di sua
        corresponsione per un periodo di tempo inferiore all’anno, “il
        rateo di gratificazione è ridotto nella stessa proporzione della
        riduzione di dette competenze”.                 
        Venendo più rapidamente alla disciplina successiva al D. lgs. n.
        29/93, va rilevato che l’art. 29 del CCNL-1994 previde
        l’articolazione della retribuzione in trattamento fondamentale,
        composto da: stipendio tabellare, retribuzione individuale di anzianità
        ed indennità integrativa speciale e trattamento accessorio, in cui
        venivano inserite una serie di indennità, compensi per lavoro
        straordinario ed altro. Ad ogni modo, il terzo comma stabilì che tutte
        le competenze, relative quindi sia al trattamento accessorio che a
        quello fondamentale, che “avessero
        carattere fisso e continuativo, fossero corrisposte congiuntamente in
        un’unica soluzione mensile”. E ben si può concordare con il
        massimo Consesso della giustizia amministrativa, quando afferma che la
        tredicesima oggi viene considerata pacificamente come avente funzione
        retributiva e la sua disciplina è assimilata interamente a quella dello
        stipendio (C. d. S. n. 6032/02, conf.: n. 485/02, nonché Adunanza Comm.
        Speciale del Pubblico Impiego 20. 01. 97).                 
        Con il CCNL 16. 05. 95 (Parte economica 94-95 del CCNL-Min.
        94-97) fu posto mano  (art. 34) alla razionalizzazione della disciplina della
        retribuzione accessoria, stabilendo nell’All. ‘B’ importanti principi per il fine che qui occupa. In particolare
        al com. 3 si legge: “Le indennità
        di amministrazione vengono corrisposte, di norma nelle medesime
        fattispecie in cui viene erogato lo stipendio tabellare”. Né può
        indurre in errore interpretativo il fatto che nel precedente art. 32,
        trattando dell’aumento delle misure degli stipendi, venga sentita la
        necessità di precisare che i relativi aumenti hanno effetto, oltrechè
        sugli stipendi, anche sulla tredicesima, sullo straordinario, sul TFR 
        e quant’altro, poiché, come chiarisce il surriferito parere
        del C. d. S., si tratta per lo più di espressioni tralaticie, senza,
        quindi, un particolare significato ermeneutico che valga a distinguere
        aprioristicamente la disciplina da assegnare alla tredicesima rispetto a
        quella delle voci stipendiali.  In data 16. 05. 2001 viene sottoscritto il CCNL integrativo del CCNL Ministeri del 16. 02. 1999 e l’art. 25 riscrive il contenuto e la definizione della retribuzione, ribadendo che la retribuzione è corrisposta mensilmente e stabilendo cosa debba intendersi per retribuzione. Il secondo comma, infatti, precisa che la RETRIBUZIONE BASE MENSILE è costituita dal valore economico mensile di ciascuna delle posizioni economiche e dall’indennità integrativa speciale; che la RETRIBUZIONE INDIVIDUALE MENSILE è costituita non solo dalla retribuzione base mensile, quanto anche dalla retribuzione di anzianità, dalla indennità di posizione organizzativa, ove spettanti, nonché dagli eventuali altri assegni personali a carattere fisso e continuativo comunque denominati in godimento. Viene ridefinito, poi, che la RETRIBUZIONE GLOBALE DI FATTO, ANNUALE include: la retribuzione individuale mensile (appena vista) per 12 mensilità, cui si aggiunge il rateo di tredicesima mensilità per le voci che sono corrisposte anche a tale titolo, nonché l’importo annuo della retribuzione variabile e delle indennità contrattuali, comunque denominate, percepite nell’anno di riferimento non ricompresse nel secondo alinea. Ora, la prima cosa che balza da questa lettura è che neppure le parti sociali hanno avvertito l’utilità di disancorarsi da una definizione antica di retribuzione che risale alle origini, quando la tredicesima era finita con l’aggiungersi allo stipendio tabellare. Infatti, si continua parlare di questo in termini di dodici mensilità non comprensivo, dunque, dell’ulteriore rateo.                
        E’ vero, peraltro, che il contratto specifica che il rateo di
        tredicesima vada aggiunto ma per le voci che siano corrisposte “anche
        a tale titolo”. Ma l’interpretazione da assegnare all’avverbio
        ‘anche’ tradisce, sia sul
        piano letterale che su quello sistematico, la volontà di veder
        riconoscere nella tredicesima, prima di ogni cosa, tutte le voci
        assegnate a titolo di retribuzione individuale mensile.  Questa
        a ben vedere è l’unica interpretazione che consente di salvare la
        legittimità della norma pattizia, in raffronto alle previsioni di cui
        al DLCPS n. 263/46,  ove è
        detto che la tredicesima vada commisurata al trattamento economico
        complessivo spettante, nonché al comma 3, All. ‘B’,
        CCNL-16. 05. 95 ove inequivocabilmente è scritto che l’indennità di
        amministrazione dev’essere pagata nelle stesse circostanze in cui lo
        sia lo stipendio tabellare.                 
        In realtà, quindi, quando si legge che l’indennità vada
        corrisposta per dodici mensilità (es.: art. 3 CCNL-Min. 26. 07. 96) si
        deve intendere una forma che ha più di mira la volontà di sottolineare
        il suo aggancio ai tempi e alle modalità della paga globale mensile che
        non piuttosto di esclusione dalla tredicesima. Se così non fosse,
        resterebbe priva di un’interpretazione plausibile la stessa
        integrazione all’art. 33 del CCNL-Min. 16. 02. 99 (operata dall’art.
        17, com. 11, CCNL-16. 05. 2001), laddove è stata avvertita la necessità
        non solo di affermare che l’indennità di amministrazione è da
        corrispondersi per dodici mensilità, quanto che la medesima abbia “carattere
        di generalità ed ha natura fissa e ricorrente”. E’ del tutto
        evidente che l’eccesso di cacofonia (dodici mensilità, da un lato,
        fissità, ricorrenza e generalità, dall’altro,) è utile solo per
        confermare l’assoluta assimilazione dell’indennità al trattamento
        stipendiale ma non per escluderla dalla disciplina della tredicesima.
        L’intenzione definitoria delle parti su questa voce retributiva, come
        visto, si è andata, a delinearsi via via nel corso degli anni, in
        maniera contorta e mai esplicitamente si è voluto dire cosa in effetti
        debba entrare nella determinazione di questo rateo retributivo. Prova
        sia di questa approssimazione il fatto che lo stesso CCNL 16. 02. 99
        laddove disciplina gli aumenti retributivi, afferma al primo comma che
        “gli stipendi tabellari sono
        incrementati degli importi mensili lordi, per tredici mensilità,
        indicati nella tabella (…)” ma al terzo comma ha inopinatamente
        specificato che “le misure
        stipendiali risultanti dall’applicazione del presente contratto hanno
        effetto sulla tredicesima mensilità (…)”, evidentemente
        dimenticando che appena due commi prima avesse detto che gli incrementi
        si riferivano a tredici mensilità!                 
        Né può dirsi che l’all. ‘B’
        al CCNL-16. 05. 95 sia stato in qualche modo abrogato per effetto del
        richiamato art. 17, com. 11, CCNL-16. 05. 2001, poiché nella sede
        deputata a manifestare la volontà delle parti circa la ricognizione
        delle norme contrattuali fra loro esistenti, cioè nella contrattazione
        normativa, le stesse parti ne hanno esplicitamente escluso la
        abrogazione (o disapplicazione, come viene detto all’art. 27
        CCNL-2202/2005 del 12. 06. 2003), mentre l’art. 26 ne ha altrettanto
        esplicitamente confermato la vigenza ed il valore integrativo delle sue
        disposizioni.  Com’è noto, infatti, l’attuale disciplina del pubblico impiego contrattualizzato prevede delle peculiari modalità di creazione e, quindi, eliminazione delle norme, non solo negoziali, quanto anche di fonte legale. Il secondo comma dell’art. 2 del TU. n. 165/01, dopo aver enunciato il principio per cui la disciplina del rapporto è da rinvenire nel codice civile e nelle altre norme sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fa salve, da un lato, le diverse disposizioni contenute negli altri articoli del TU. e, per quanto attiene le norme sopravvenute alla sua entrata in vigore, stabilisce, dall’altro, che esse possano essere derogate dalla contrattazione successiva, sempre che la stessa legge non lo vieti.                
        L’art. 69, com. 1, stesso TU. stabilisce che tutte le norme
        generali e speciali sul pubblico impiego, vigenti alla data del 13. 01.
        1994, costituiscono quella disciplina (“leggi
        sui rapporti di lavoro”) richiamata dal predetto art. 2, com. 2.
        Il comma dell’art. 69 prosegue affermando, con norma invero non
        propriamente precisa (per quanto sarà subito detto a proposito
        dell’art. 71), che quelle disposizioni sono però inapplicabili a
        seguito della stipulazione  dei
        CCNL-1994/97, cessando, comunque, di produrre effetti dal momento della
        sottoscrizione dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001.  Invero, l’apodittica declamazione abrogatoria contenuta nel richiamato art. 69 trova mitigazione e specificazione nel successivo art. 71. Qui, infatti, si chiarisce che gli effetti di eliminazione delle norme dal mondo del diritto non si producono automaticamente e per il solo effetto di stipula, alle viste scadenze, dei successivi contratti collettivi, bensì richiedono un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso indirizzata.                
        In effetti, per quanto attiene all’abrogazione in seguito della
        contrattazione 1994-97, il com. 1 dell’art. 71 TU. stabilisce che al
        medesimo TU. restano allegate le Tab. ‘A’
        e ‘B’ contenenti un’elencazione delle norme i cui effetti devono
        intendersi cessati.                 
        Il terzo comma del ridetto art. 71 TU. chiarisce che l’effetto
        abrogativo assegnato dall’ult. parte del com. 1 dell’art. 69 e
        previsto per la “tornata
        contrattuale 1998-2001” avrà necessità, per prodursi, di un atto
        ricognitivo di aggiornamento dell’allegato contenente le norme
        abrogate.                 
        Orbene, né nelle tabelle All. ‘A’
        e ‘B’ al TU. e neppure, come visto, negli art. 26 e 27 del primo
        contratto collettivo (12. 06. 2003) stipulato proprio a conclusione
        della “tornata contrattuale
        1998-2001” vi è alcuna traccia di abrogazione del DLCPS n.
        263/46, il che consente di concludere per una sua attuale, piena
        vigenza.                 
        Da tanto discende, seguendo il giudice di legittimità - il
        quale, come visto, salva le ipotesi di definizione unitaria di
        retribuzione, solo se di fonte legale -, che 
        il “trattamento economico
        complessivo” a cui per l’art. 7 DLCPS n. 263/46, risulta essere
        commisurato il rateo di tredicesima, e la cui definizione, a sua volta,
        era stata ritagliata su quanto avveniva nel settore privato, con
        riferimento alla “retribuzione
        mensile globale di fatto”, è ancora, assieme alla coerente
        disposizione di cui al terzo comma dell’All. ‘B’
        al CCNL-16. 05. 1995 (la vigenza del quale è stata confermata con CCNL
        16. 02. 99) lo strumento principale di riferimento per stabilire il
        contenuto da assegnare alla tredicesima mensilità.  Di fronte alle disarmonie lessicali e sistematiche della contrattazione, sopra evidenziate, miglior partito pare, in conclusione, quello di restare fortemente ancorati alla lettera, al sistema della legge e dell’unica contrattazione esplicita sul punto, contro le cui disposizioni finisce per il soccombere una interpretazione dell’art. 17, com. 11, CCNL-16. 05. 2001 e dell’art. 3 CCNL 26. 07. 1996 che, dall’apparenza del lessico, faccia discendere un vincolo alla corresponsione dell’indennità limitata a dodici mesi. L’eccezione di prescrizione quinquennale va accolta poichè incontrovertibilmente si versa in rapporti muniti di tutela reale. Sicchè devono ritenersi prescritte quelle quote di credito antecedente di cinque anni dalla messa in mora che, nella specie, può aversi con la notifica del ricorso al Collegio di conciliazione, avvenuta il 6 novembre 2002. Il calcolo (a ritroso) trova ostacolo, però, nella carenza di giurisdizione del Giudice ordinario che, ex art. 69, com. 7, TU. n. 165/01, si riferisce alle questioni attinenti al periodo del rapporto antecedente il 30. 06. 1998, sebbene, in via di fatto, tenuto conto delle notifiche, le due date finiscono con il coincidere. Sulle somme arretrate andranno altresì calcolati gli interessi in misura legale dalla messa in mora avvenuta con la notifica del ricorso al Collegio di conciliazione del 2. 11. 02. Non invece la rivalutazione, trattandosi di crediti derivanti da rapporto di pubblico impiego, sia pure privatizzato, per il quale l’art.22, com. 36 della legge n. 724/94, espressamente dall’1. 01. 1995, quindi per il periodo non coperto dalla prescrizione, esclude il cumulo, consentendo la corresponsione solo del maggiore fra gli importi degli interessi e della rivalutazione ed avendo la norma ricevuto conferma di costituzionalità. Conclusivamente la tredicesima dovrà comprendere l’indennità di amministrazione dall’1. 07. 1998 e da tale data andranno calcolati gli arretrati, mentre gli interessi legali su tali ratei decorreranno dal 2. 11. 2002 e fino al definitivo soddisfo.                
        Trattandosi di questione interpretativa, ricorre giusto motivo
        per la compensazione integrale delle spese di lite.  P.            Q.           
        M.  Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, DICHIARA che i ricorrenti hanno il diritto di veder inserita nel calcolo della tredicesima mensilità l’indennità di amministrazione. CONDANNA il Ministero convenuto a pagare le differenze retributive fra quanto corrisposto e quanto avrebbe dovuto corrispondere secondo il calcolo di cui al punto precedente, nel limite della prescrizione quinquennale alla data della notifica del ricorso, oltre interessi. COMPENSA integralmente le spese fra le parti. Il
        Giudice del Lavoro. G. Schiavone  |