Il sacco bucato

Notiziario RdB-PI Ministero Finanze e Agenzie Fiscali

n. 14/2001 – 5 dicembre

 

SOMMARIO

Protagonisti per un giorno…

Ora parliamo di soldi… e tanti

Demanio: ad essere manager così sono capaci tutti!

Centri di Servizio: si chiude!

Territorio: il decentramento procede, in ordine sparso

Entrate: un fisco giusto per tutti

Entrate: l’ennesima contrad­dizione di un si­stema falli­mentare (ad hoc)

Lottare per il meno

peg­gio

Protagonisti per un giorno…

Le elezioni RSU del 2001 sono finite, se ne riparlerà nel 2004. Le Rappresen­tanze sindacali di base nelle Agenzie Fiscali sono cresciute dai circa 2800 voti del 1998 agli oltre 4.000 voti di quest’anno, con un incremento di oltre il 45%. Il dato nazio­nale delle RdB si aggira attorno al 9% (contro il 6% del 1998). Un risultato ecce­zionale che conferma la necessità di un sindacato vero, in­dipendente, non concertativo e che faccia proposte alternative. Un risul­tato che poteva essere ancora migliore con modalità elettorali più democratiche, che separassero il voto ai soggetti (i delegati) da quello alle liste… Nonostante queste regole, comunque, le RdB sono riuscite a passare in poco più di cinque anni da zero al 9%, da zero a ol­tre 4.000 voti. E’ un fortissimo segnale che viene inviato ad un’Amministrazione sempre più ”manageriale” e arrogante. Un risultato che ci porta ben oltre la soglia minima di rappresentatività, inventata per eliminare il dissenso. Le ele­zioni sono finite, le bacheche si svuote­ranno e torneranno, come accade in molti casi, ad essere abitate solo dai co­municati RdB… torneranno ad intasarsi tra tre anni, quando tutti ci riproporranno di essere protagonisti per un giorno… nel frat­tempo noi, rafforzati dai risul­tati elettorali, ci “limiteremo” a continuare a dare la possibilità a tutti di es­sere protagonisti tutti i giorni.

Robespierre


Ora parliamo di soldi… e tanti

Abbiamo parlato a lungo di Salario Europeo, della necessità di aumenti veri che siano recupero di un’inflazione che ha visto, negli ul­timi otto anni, ognuno di noi perdere oltre 8.000.000 annui di potere d’acquisto salariale (dati ISTAT). Ma non basta. Lo Stato, oltre a non pagarci adegua­tamente, si rifiuta di darci decine di milioni nostri, e par­liamo di cifre che variano da 15 a 40 milioni procapite! Lo Stato, con sot­terfugi vari, cerca di non pagarci quanto ci deve. Ve­diamo nel detta­glio le singole que­stioni. A) Inte­ressi legali e rivaluta­zione moneta­ria ex. Legge 312/80. Lo Stato, aveva, con la Finanziaria 2000 (Go­verno D’Alema), impedito l’estensione del giudicato e bloccato le procedure di pagamento. La Corte costituzionale ha giudicato tale pra­tica illegittima ed ma ora il Tesoro, anzi il Ministero dell’Economia, anzi­chè stanziare i soldi in Finanziaria, fa ripartire il valzer dei pareri all’Avvocatura. Il governo dei cento giorni, quello che per interessi spe­ci­fici, e non vogliamo entrare qui nella polemica politica, è stato il più inter­ventista della storia del nostro paese, quando si tratta di interventi a fa­vore del riconoscimento econo­mico di diritti indiscutibili cincischia e prende tempo come se fosse un qual­siasi governo precedente… B) Maggio­razione RIA. Al danno della soppres­sione degli scatti di anzia­nità si era, ricorderete, aggiunta la beffa del furto di due/tre anni an­zianità, che non permettevano a molti lo scatto del diritto. A fronte dei sempre più numerosi ricorsi vinti dai dipendenti, il Governo Amato, con la Finanziaria 2001, ha de­ciso di for­nire inter­pretazione retroattiva della norma in contrasto con quanto già definito per molti colleghi dal Consiglio di Stato. Anche in questo caso è stata sollevata l’eccezione di anticostitu­zionalità e stiamo atten­dendo il giu­dizio della Corte su­prema anche se la finanziaria in di­scussione (Governo Berlusconi) cerca di reiterare il prov­vedimento.  C) Perequazione. Siamo al grottesco. A fronte del riconosci­mento del di­ritto di perequazione era, ricorde­rete, stato istituito un fondo che non è mai stato alimentato suffi­cientemente (per un paio d’anni ci è stato corrisposto circa un milione a fronte degli oltre cinque che ci spettavano) e che poi è stato com­ple­tamente prosciugato. Ora il TAR, a fronte dei molti ricorsi in piedi, si sta informando presso le Ammini­strazioni della differenza tra le ci­fre dovute e quelle corrisposte. D) Infine il Fondo di Previdenza, circa 1.300.000 lire procapite, per ogni anno lavorativo, un fondo di 1500 miliardi, su cui, se non si provvede adeguatamente, perde­remo ogni di­ritto nel momento della stipula del prossimo contratto. Che fare? Per gli interessi monetari, dopo la vitto­ria del ricorso alla Corte Co­stituzio­nale, stiamo inviando al mini­stro Tremonti una lettera in cui lo diffi­diamo dal perdere ulteriore tempo e a corrispondere il dovuto agli aventi diritto. Per la RIA, dopo aver pro­mosso i ricorsi in materia ci siamo costituiti parte in causa nel ricorso in attesa di discussione alla Corte Co­stituzionale. Per quanto riguarda la perequazione, dopo i ricorsi pro­posti diversi anni fa, stiamo atten­tamente seguendo le mosse del TAR pronti ri­lanciare la questione sia giuridica­mente che contrattual­mente. Sul Fondo di Previdenza, dopo aver rac­colto migliaia di firme di colleghi che richiedevano la liqui­dazione del Fondo, stiamo prepa­rando una richie­sta d’incontro per l’immediata risolu­zione del pro­blema. Parliamo di im­porti che supe­rano dalle 500 alle 3.000 volte quelli dei rinnovi contrat­tuali, dell’equivalente di oltre 10 anni di salario accessorio. Oggi c’è chi chiede 60.000 lire di aumento men­sile, contro le 8/10 mila proposte in finanziaria, oppure concentra la ver­tenzialità sindacale verso le 100.000 lire in più o meno del sala­rio accesso­rio. Scordandosi dei circa 40 milioni arretrati. Questo appare un metodo raffinato per non disturbare troppo il manovratore e salvarsi la faccia.

 

Demanio: ad essere manager così sono capaci tutti!

1600 dipendenti. L’Agenzia del De­ma­nio ha cominciato con il cercare di chiudere le sedi, poi ha iniziato a classificarle con piglio manageriale. Poi ha introdotto incredibili sistemi di valutazione per i dirigenti e per i livellati (SVAD e SVAL). La gestione manageriale dell'agenzia ha variato enormemente il rapporto diri­genza/lavoratori. Infatti, nello Sta­tuto dell'Agenzia del Demanio è chia­ramente (e, a questo punto, pare iro­nicamente) scritto che i di­pendenti sono la risorsa principale di ogni im­presa e la loro soddisfa­zione è fon­damentale affinché pos­sano raggiun­gere livelli di eccellenza nel lavoro. Questo primo anno di at­tività è ad un passo dal concludersi ed il "migliora­mento" delle condi­zioni lavorative ini­zia a farsi sen­tire: dal punto di vista organizza­tivo, come dicevamo prima, ma an­che da quello economico. L'A­genzia del Demanio è l'unica che, ad oggi, non solo non ha ancora stabilito i criteri di ripartizione dei fondi F.U.A. ma, soprattutto, non ha an­cora comu­nicato nè quanto è af­fluito nel capi­tolo apposito come quota fissa e di convenzione con il Ministero dell'Eco­nomia e delle Fi­nanze, nè quanto ri­guarda le econo­mie di bilancio. A ren­dere ancora più chiara la situazione, occorre ricor­dare che il 30% del F.U.A. con l'ac­cordo del luglio scorso era stato de­stinato ai progetti spe­rimentali (strategici) il cui costo, non avendo avuto mai inizio, sarebbe dovuto rientrare nella somma da de­stinare alla ripartizione equa tra tutto il personale. Inoltre, la tanto decan­tata trasparenza imporrebbe, oltre che la comunicazione alle OO.SS. delle disponibilità economi­che, an­che la comunicazione delle spese so­stenute per le "consulenze manage­riali esterne"... se poi a questo sommiamo il fatto che, non distri­buendo tali somme, le stesse pos­sono essere utilizzate poi l'anno succes­sivo, riusciamo anche a com­prenderne il gioco. E’ chiaro che i nostri manager ritengono più utile utilizzare i fondi, piuttosto che per pagare il personale, magari sotto forma di 14^ mensilità, per retri­buire le consulenze esterne. Tanto, a seguito del processo di car­tolariz­zazione degli immobili, varato dall’attuale governo, si sta concre­tiz­zando il passaggio in blocco dei beni immobiliari pubblici a società di ge­stione esterne. Chissà se in que­ste società troveremo domani alcuni degli attuali consulenti della sman­tellanda Agenzia?

Centri di Servizio: si chiude!

L’Amministrazione ha ufficializzato ciò di cui si parlava da tempo, con­se­gnando una bozza sulla chiusura dei Centri di Servizio. Alcune sedi sa­ranno “riciclate”, altre chiuse de­fini­tivamente entro il 30 giugno 2002. Il testo completo è stato in­viato ai Cen­tri di Servizio, ed è pubblicato sul nostro sito internet (www.rdbfinanze.too.it). Stiamo at­tendendo le considerazioni in mate­ria delle nostre strutture anche se fin da subito possiamo confermare il giu­dizio negativo che da mesi diamo su un’Amministrazione che non si fa scrupolo, dopo aver deciso che al­cune lavorazioni, ritenute essenziali fino a non più di quattro anni fa, sono dive­nute superflue, di soppri­merle, in al­cuni casi, come per Bari, in barba a qualsiasi logica di ge­stione del perso­nale e dei rapporti con l’utenza. Il nodo della questione è che dalla sop­pressione dei Centri di Servizio, po­trebbe partire, con l’individuazione delle sedi carenti un processo peri­coloso che riporta la questione delle piante organiche a livello locale, su­bordinandola esclu­sivamente a valu­tazioni tecnico-nu­meriche sulla base delle quali il per­sonale è “solo” un elemento della produzione. Le Agen­zie sono, soprat­tutto, questo. La tra­sformazione di ogni ragionamento da politico-gene­rale a tecnico-numerico. Il risultato è che diviene sempre più difficile fare scelte che tutelano ve­ramente il personale pur se, talvolta, poco produttive. Il posto pubblico era anche questo. Un modo che aveva lo Stato di ridistribuire il reddito. Aver rinunciato a questo è stata una scon­fitta sindacale enorme che, in­credi­bilmente, qualcuno continua a cercare di spacciare per una grossa vittoria. La truffa è completa. Presso le Dire­zioni Regionali (sog­getto inesistente sotto il piano con­trattuale) si indivi­duano le sedi ca­renti dividendole in più fasce. La ca­rota è la distribuzione di fondi, circa 10 miliardi lordi, prele­vati dal Fondo Unico, e quindi giuridi­ca­mente, di tutti, per coloro che ac­cetteranno il trasferimento verso le sedi carenti. Incredibilmente, an­cora oggi non si sa ancora come que­sti fondi saranno distribuiti sul ter­rito­rio nazionale, anche se sappiamo che l’Agenzia tenderebbe a non stanziare neppure una lira per le re­gioni cen­tro-meridionali, dove non vuole far andare nessuno, salvo, forse, qualche raccomandato che continua, non si sa come, a sfuggire alla maglia manage­riale …

 

Territorio: il decentramento procede, in ordine sparso

Seppure in via cosiddetta sperimen­tale, si moltiplicano le sedi in cui il personale si sposta agli Enti Locali, un processo che, innanzitutto come cit­tadini, non condividiamo, perché non avvicina affatto il servizio ai citta­dini, come afferma la propa­ganda di regime, ma solo la politica (i politici) al servizio, con quello che ne può conseguire in termini di omogeneità dei diritti (o peggio).

A questo si aggiunga che questo pro­cesso si svolge spesso senza che i di­pendenti siano messi nella condi­zione di conoscere il passo succes­sivo. Ca­tasti che passano quasi inte­ramente a Comuni, come dovrebbe accadere a Reggio Emilia, pezzi di catasto che vanno a costituire i poli, come a San Giovanni in Persiceto, accelerazioni improvvise e impreci­sate, come a Massa o Cuneo, dipen­denti che istruiscono i comunali come a Cata­nia… e potremmo citare molti esempi. La via sperimentale sta creando uno scacchiere di ipo­tesi in cui lo spezza­tino dell’Agenzia del Territorio sem­bra l’unico risul­tato ad oggi visibile. Un’Agenzia che sembra stia lavorando solo per la sua chiusura… con gli ex LSU che dovrebbero servire a smal­tire l’arretrato residuo, che, ovvia­mente, gli enti locali non hanno alcuna in­tenzione di fare propri. L’andamento della procedura, appa­rentemente schizofrenico, ha invece una logica distruttiva che diviene inattaccabile in funzione della sua non classifica­bilità. Diviene quindi essen­ziale fare il punto della situazione cercando di mettere assieme i pezzi. Da qui l’appello a tutti i nostri dele­gati RSU, e non, e comunque a tutti co­loro che hanno l’interesse a capirci qualcosa, di fornirci elementi da cui sia possibile effettuare una sintesi e quindi costruire assieme una piat­ta­forma rivendicativa sui criteri di mo­vimentazione e sul mantenimento dei diritti. In poche parole, chie­diamo a tutti di scriverci per rac­contarci cosa sta accadendo presso il proprio uffi­cio. Fax 06233200763 oppure 02700555582, email ilsaccobu­cato@libero.it.

 

Entrate: un fisco giusto per tutti

Abbiamo già, subito prima delle ele­zioni RSU, sollecitati dalla nostra struttura delle Marche, varato l’iniziativa “Un Fisco giusto per tutti” nel quale abbiamo invitato i colleghi a raccogliere firme, proprie e dei con­tribuenti, per la richiesta di maggiori investimenti, incre­mento di perso­nale, uffici, for­mazione nonché ri­conoscimento delle professionalità espresse. Al­cuni uffici hanno già co­minciato la raccolta, altre hanno coz­zato con dirigenze che nell’ansia di bloccare ogni iniziativa sindacale non paiono aver capito che tale iniziativa è utile anche alla dirigenza che con la riduzione degli investimenti, degli uf­fici e l’approvazione del disegno di legge sulla vice-dirigenza sono al­tret­tanto, se non più, a rischio dei dipen­denti livellati. In taluni casi, siamo certi, l’iniziativa si è perduta tra la montagna di carta di propa­ganda giunta nei giorni antecedenti alle ele­zioni. Ma qui di propaganda non si tratta. Si tratta di diritti. I modelli su cui raccogliere le firme sono scari­cabili dal nostro sito in­ternet (www.rdbfinanze.too.it) e, natural­mente, richiedibili alla nostra reda­zione. L’iniziativa ha obiettivo di mo­dificare l’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate prima della prossima “ondata” di avvisi bo­nari (a Febbraio). L’obiettivo è quello di raccogliere più firme pos­sibili, meglio se con inizia­tive che consentano, anche local­mente, la vi­sibilità del problema, di dipendenti e cittadini-utenti, per poi farle per­venire a stampa, parlamen­tari e go­verno. Il 21 dicembre, p.v., a tal proposito, a Firenze, in concomi­tanza con l’inaugurazione degli Uf­fici Unici, abbiamo previsto un sit-in con assemblea pubblica e raccolta delle firme. Invitiamo tutti i nostri dele­gati neo-eletti alle elezioni RSU a farsi carico della raccolta delle firme nel proprio posto di lavoro.

 

Entrate: ennesima contraddi­zione di un sistema fallimen­tare (ad hoc)

Bandi concorso per passaggio tra le aree a C1. Possono parteciparvi, ol­tre ai laureati, anche i B1 che ab­biano maturato 9 anni di anzianità al 1 gen­naio 2001… anche qui, per po­chi mesi, si tagliano fuori i, non lau­reati, che dall’A1 erano transitati a B1 con il vecchio concorso a titoli… Lo sap­piamo, ribadire il loro diritto, il di­ritto di colleghi che hanno svolto mansioni superiori per anni a parteci­pare ad una prova concor­suale, riba­dire la possibilità di libe­rare “posti” in B1 per il vero svuo­tamento dell’Area A, è operazione difficile perché riduce la possibilità per altri di passare di livello. Ma è proprio questo l’obiettivo che tali procedure si propongono. Quello di metterci uno contro l’altro. I laure­ati contro i non laureati, i B2 contro i B1, i B3 contro i B2… e così via. Nessun diritto certo, ma solo una carneficina in cui i gladia­tori (noi) sono buttati nell’arena a scannarsi tra di loro… Non è un caso che, nonostante i proclami, ancora nulla sia stato stabilito per i passaggi interni all’area B… si sta aspettando chi ri­mane in piedi…

 

Lottare per il meno peggio

Si parla tanto di unità sindacale. Le Rappresentanze sindacali di base sono disponibili ad essere unitarie con chiunque, ma su contenuti ben pre­cisi. Ci troviamo oggi di fronte a soggetti sindacali che dichiarano uno sciopero generale (14 dicembre p.v.) nel Pub­blico Impiego per co­stringere il Go­verno a rispettare i vincoli dell’Accordo del Luglio ’93 (quello che ha tagliato i salari, in­trodotto le fles­sibilità ecc.) pun­tando a strappare qualche miseria economica, per rilan­ciare la concer­tazione, per aprire un tavolo di con­fronto sulle privatizza­zioni, le esternalizzazioni, l’outsourcing pre­visti dalla “Finanzia­ria di guerra”. Uno sciopero, insomma, per riaf­fermare il proprio ruolo e far rivi­vere la concertazione e non per chiedere vera distribuzione della ric­chezza, la fine di ogni processo di privatizzazione e di smantella­mento dello stato sociale. Vorremmo essere chiari, soprattutto con i no­stri dele­gati. Noi non faremo lo sciopero del 14 dicembre. Noi ab­biamo organiz­zato una manifesta­zione a Milano il 15 dicembre contro l’attacco all’articolo 18 (libertà di li­cenziamento). Perché? In questi nove anni, dal 1992 (ma an­che da prima) il sindacato italiano non ha rivendicato alcun ribaltamento dei processi di accumulo della ric­chezza. Anzi, con la concertazione ha, di fatto, assecondato l’arricchimento di pochi, racco­gliendo le briciole che ca­devano dal tavolo dei potenti. Un ruolo che forse poteva trovare qual­che giusti­ficazione nella “prima re­pubblica” nella quale il ruolo di media­zione po­litica (e quello sindacale, braccio di alcuni soggetti politici nel mondo del lavoro) aveva sull’economia di questo paese. Ma rivelatosi suicida perché varato proprio in concomi­tanza con la “tangentopoli” che ha fatto fuori la politica e l’ha sostituita con l’imprenditoria. Non è un caso che chi ci governa oggi ribalta questa analisi dichiarandosi vittima di tan­gentopoli. Strane vittime che prima erano più poveri e, comunque, obbli­gati a dare le mazzette, e oggi sono molto più ricchi e gestiscono diret­tamente il governo del paese. La con­certazione, oltre ad impoverirci, ha assecondato questo processo la cui logica conseguenza è l’inutilità dei soggetti sindacali (e dei loro partiti di riferimento) che l’hanno praticata. Uno dei primi atti del Mi­nistro Ma­roni, è stato sottolineare che la con­certazione è finita e che va sostituita dal dialogo (formula indistinta che si­gnifica parliamone ma poi decidiamo noi). La concerta­zione è stata il meno peggio che ha preparato al peggio. Oggi fare uno sciopero per rivendi­care il ritorno al meno peggio, signi­fica o non aver capito nulla o cercare di strumenta­lizzare lavoratrici o la­voratori solo per poche, personali, fette di po­tere. Significa indebolire l’uso di uno strumento di lotta, signi­fica in­debolire lavoratrici e lavora­tori.

Le Rappresentanze sindacali di base non solo non cercano l’unità su que­sti contenuti ma vogliono distin­guersi nettamente da chi li perse­gue.

Il sindacalismo di base sbaglie­rebbe e tradirebbe il suo ruolo se, soprattutto in questo momento, con comportamenti ambigui, alimen­tasse dubbi e confusioni.

Sul Cor­riere della sera di sabato 1 dicem­bre il Presidente del Consiglio af­ferma “state tranquilli, lo sciopero sull’articolo 18 ha un valore pura­mente simbolico e avrà un impatto li­mitato. I sindacati erano obbligati a farlo. La situazione è sotto con­trollo, il dialogo non è compromesso. Noi an­diamo avanti con la delega, in­tanto vediamo se le parti sociali trovano un accordo.” Chi ha orecchie per inten­dere…