Oltre le colonne
Teoria e pratica sindacale

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Seconda Edizione


N.3 - 26 novembre 2003

SOMMARIO

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Entrate. E’ saltato l’argine
Precariato. In Lombardia 300 posti Formazione Lavoro. Riorganizzazione Uffici. Chiude Rimini 1
 

La Direzione Regionale delle Entrate per la Lombardia ha varato un concorso per l’assunzione per 24 mesi di 300 funzionari C1. Il contratto proposto è quello formazione lavoro… per partecipare al concorso chi lavora già deve licenziarsi!

Come si vede, il precariato dilaga, questo grazie ad accordi che CISL, UIL e anche CGIL, nonostante i proclami contro la legge 30/2003, hanno sottoscritto.

Il precariato è una piaga, per i precari, perché non garantisce alcuna sicurezza a chi lavora, ma anche per chi lavora a tempo indeterminato, che verrà affiancato da persone che, più ricattabili, fanno lo stesso lavoro, con conseguente decadimento della possibilità rivendicativa.

Il precariato è una piaga ancor maggiore all’interno del Pubblico Impiego, dove il servizio al cittadino deve essere garantito in maniera stabile e strutturale e dove (può essere una visione tardo-keynesiana, ma è importante che qualcuno continui ad affermarlo) lo stato deve impegnarsi a creare posti di lavoro per combattere la disoccupazione e per calmierare i diritti del mondo del lavoro.

Invece, dopo i lavoratori a tempo determinato, la Direzione Regionale Entrate Lombardia si lancia l’esperimento della Formazione Lavoro, tra l’altro già varato, nel silenzio (quasi) assoluto con i Tirocinanti.

Grosse responsabilità del sindacalismo concertativi sul precariato. Responsabilità ancora più evidenti sulla questione della riorganizzazione degli uffici. La Direzione Regionale Entrate dell’Emilia Romagna, dopo circa un anno, torna alla carica per la chiusura di alcuni uffici (oggi è Rimini 1, ma il progetto pare sia ben più ampio) e questa volta, oltre alla CGIL che già un anno fa era d’accordo, trova la sponda oggi anche di CISL e UIL che, contro tutto il personale dell’Ufficio interessato, ne contrattano la chiusura e la ricollocazione dello stesso in altre sedi.

Come più volte ricordato, ci sono due modi di fare sindacato, quello concertativo, in cui, di fatto, non si discute nel merito delle scelte dell’amministrazione, ma si cerca di gestirle… l’altro conflittuale che invece entra nel merito, critica le scelte e si oppone.

Sulla questione di Rimini la differenza è emersa lampante.

Se CGIL, CISL e UIL hanno dato per acquisito il concetto che, per economicità, gli uffici vanno chiusi e si sono preoccupati di rendere l’esodo meno dannoso possibile per il personale, noi abbiamo contestato la scelta, secondo noi, nei fatti, onerosa anche per i cittadini, e, su mandato del personale, ci siamo dichiarati non disponibili a discutere sul piano della gestione del disastro.

L’Agenzia delle Entrate non può rinunciare al suo ruolo di “presidio” del territorio o ridurlo solo ad alcuni sportelli di servizi ai “clienti”. Questa scelta snatura il ruolo stesso della macchina fiscale mettendo, di fatto, a rischio, migliaia di posti di lavoro.

O si ragiona su questo piano, e si ricostruisce un nuovo argine, oppure  quanto accaduto a Rimini sarà solo l’inizio.

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Questione di metodo
La validità degli accordi e la tattica che usano le Agenzie  
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CGIL, CISL, UIL a Bologna hanno firmato, da sole, un accordo con la Direzione Regionale per la chiusura di Rimini 1. Le RSU di Rimini, pur presenti al tavolo regionale, hanno apposto una firma temporanea all’accordo, dopo di che, consultato il personale, l’hanno ritirata. Le RdB e Salfi, si sono rifiutati di discutere. Per quanto ci riguarda, infatti, se un progetto di chiusura degli uffici esiste questo non può che trovare corretta discussione su un piano più generale. In poche parole, secondo noi, queste sono questioni in cui il sindacato deve assumere un ruolo “politico” e deve ribattere sul piano dell’opportunità delle scelte piuttosto che entrare nel mercato delle vacche della gestione delle ricadute,,unico piano praticabile a livello locale.

E qui veniamo alla tattica che le Agenzie, e nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate, hanno adottato: tecnicizzazione e frammentazione.

In sostanza, la trasformazione in Agenzie, un vero disastro, ha privato il sindacato dell’interlocutore politico, che avrebbe dovuto giustificare, appunto, sul piano politico le scelte. Ci sono rimasti i “tecnici”, le Agenzie che, comunque, discutono sempre meno a livello centrale, dove le scelte sarebbero più controllabili, e danno incarico ai direttori regionali di mettere direttamente in atto le scelte, coinvolgendo il sindacato locale sull’unico piano che resta possibile, quello della gestione delle stesse.

Insomma, a livello centrale non si discute, ma a livello periferico i direttori presentano le scelte da gestire come scelte nazionali ineludibili.

In questo modo le Agenzie, dove trovano situazioni più deboli, creano delle falle nel sistema di difesa dei diritti. Falle che, quando si moltiplicano, divengono sempre più difficili da tappare! E’ facile constatare che questa tattica viene usata anche dai direttori regionali con gli uffici periferici.

Questa tattica attecchisce a causa della tendenza concertativa, strutturale per CGIL, CISL e UIL, e congiunturale anche per alcuni nostri delegati che, tuttora, confondono la trattativa locale come il luogo principe dello sviluppo dell’azione sindacale.

Diviene invece sempre più chiaro che la trattativa sottostà alle regole della concertazione. Uno strumento costruito e gestito con regole rigide non può che dare risultati predeterminati.

A conferma del fatto che se si vogliono ottenere risultati concreti bisogna usare altri sistemi, e a dimostrazione che le regole normative e contrattuali sono costruite contro i lavoratori, vogliamo dare qui informazione rispetto alla validità degli accordi locali.

Unico vincolo normativo che stabilisce la validità di un accordo, ad oggi, riguarda il Contratto Nazionale di Lavoro, che sulla base del decreto legislativo 165/2001 (articolo 43 comma 3), è valido su tutti solo se sottoscritto da “le organizzazioni sindacali che (…) rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale neI comparto o nell'area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito”. Questa è la regola di validità erga omnes del contratto collettivo nazionale di lavoro, quello che si sta discutendo in questi giorni all’ARAN. Per quanto riguarda tutte le altre contrattazioni NON ESISTE UNA REGOLA.

ARAN e Funzione Pubblica, a più riprese interpellate, hanno affermato quanto è logico in assenza di regole: che un accordo è valido in quanto applicabile. Il concetto è astratto ed è chiaro, che, per garantire l’applicabilità di un accordo, dice sempre la Funzione pubblica, vada perseguito il “maggior consenso possibile” e quindi che, si da per scontato che la sottoscrizione dell’accordo da parte della maggioranza delle organizzazioni sindacali ne dovrebbe  garantire l’applicabilità.

In sostanza: non esiste la possibilità di appellarsi alla giustizia per rendere invalido un accordo, anche se firmato da una sola sigla sindacale.

In questo contesto diviene chiara la necessità di dotarsi di altri strumenti. Innanzitutto, quello che chiediamo da tempo, osteggiati da tutte le sigle sindacali: il referendum tra il personale, vincolante per valicare gli accordi. Ma questo è uno strumento che oggi non c’è… che strumenti restano quindi per far si che un accordo si definisca non applicabile, non valido?

Non c’è alternativa. Se la stessa Funzione Pubblica dice che un accordo è valido in maniera proporzionale al consenso raggiunto, quando il personale non sia soddisfatto delle scelte operate dagli accordi, non può limitarsi a mugugni di corridoio, ma deve dare un segnale chiaro ed inequivocabile di mancanza di consenso.

L’unico segnale chiaro ed inequivocabile è l’abbandono immediato delle sigle sindacali che firmano gli accordi “incriminati”, l’immediata iscrizione alle sigle che hanno deciso di fare scelte diverse e l’organizzazione con esse delle lotte che rendano palese il disaccordo.

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Contratto. In alto mare, ma il nostro ricorso...

Sembra sempre più difficile giungere ad una chiusura del contratto… gli stessi incontri della prossima settimana, che potevano sembrare conclusivi, sembrano non esserlo, visto che ieri, per la parte normativa generale, in cui si continua a non entrare nel merito, si è rinviato il dibattito a dopo il 10 dicembre. Si corre il rischio che il contratto slitti all’anno prossimo. Se così fosse la situazione, già incredibile, diverrebbe insopportabile. Le responsabilità di chi ha scelto e voluto il sistema delle Agenzie sono enormi.

Il nostro ricorso sta lì. Unica isola in un mare di incertezza. Unico tentativo di sollevare il problema in una situazione in cui tutti fanno molte parole, ma nessuno va negli uffici e “cerca di fare qualcosa” coinvolgendo il personale.

Se, come temiamo, i tempi dovessero ancora slittare, quest’isola si dovrà ingrandire, con molti altri ricorrenti.

E cercheremo di andarlo a discutere presso le Direzioni Provinciali del Lavoro.

Il tentativo di conciliazione, lo abbiamo detto, è il nostro modo per coinvolgere il personale e per farlo protestare contro tutte le scelte sbagliate di cui oggi subisce le conseguenze… un modo per dire che il consenso (vedi articolo precedente) sta da un’altra parte!

E quando qualche sigla sindacale, di quelle che hanno concertato la nascita delle Agenzie, ci attacca sul ricorso non fa che confermarci che abbiamo colto nel segno! C’e una piaga… e mettere il dito nella piaga fa male!

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Demanio. Fua 2002
Cornuti e mazziati

Mentre la questione EPE non trova ancora la sua soluzione, scoppia il caso “progetti incentivanti”. Il 5 novembre u.s. a Roma è stato firmato (non da RdB) l’accordo sul FUA 2002 che prevede anche alcuni progetti. Sembra che i progetti siano già stati svolti, in moltissimi casi senza contrattazione locale e senza interpello del personale. Sembra che stiano "già" predisponendo i mandati di pagamento a favore di 350 "partecipanti privilegiati". Se così fosse sarebbe un vero scandalo. Saremmo veramente sul fondo della questione del Fondo (scusate il gioco di parole). Nei prossimi giorni appronteremo una bozza di richiesta di spiegazioni che i nostri delegati territoriali potranno inviare alle sedi del Demanio periferiche, oltre che per conoscenza, alla Direzione Centrale. Negli uffici, approfittando della confusione, non vengono date informazioni e il potere discrezionale dei dirigenti impera… ratificato dagli accordi nazionali. 

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Fua 2002. Non lo abbiamo firmato alle Entrate... e neppure al Territorio

Tra il dire ed il fare… dice un vecchio detto. E dopo tutto l’abbaiare nessun cane ha morso. Alle Entrate si è firmato il solito accordo sul Fondo Unico di Amministrazione. L’accordo per restare alle Entrate recepisce in maniera sempre più consistente la richiesta del personale (le 20.000 firme raccolte dalle RdB) di portare in busta paga quote significative di salario accessorio.

In questo caso, il 45% del Fondo Unico va a tutti e, il 65% del 37% destinato alla Produttività, pure.

Fa quasi il 60% a tutti anche se, e questo è uno dei motivi per cui non abbiamo firmato, il 37% destinato alla produttività verrà diviso negli uffici in maniera non equivalente alle presenze, ma ai carichi di lavoro (concetto questo spesso molto astratto e su cui l’amministrazione troppo spesso gioca).

Ma il vero motivo di forte dissenso è che è stata riproposta la stessa zuppa delle indennità… meccanismo che retribuisce a posteriori (molto a posteriori visto che si discute oggi del 2002), posizioni di lavoro che sono state assegnate senza discussione dai dirigenti degli uffici… e che come sempre non si fa che ratificare.

Lo abbiamo sempre detto, le indennità devono divenire riconoscimento strutturale della professionalità, date per acquisite e messe in busta paga… cercando di riequilibrare tra i diversi servizi che oggi vedono discriminazioni selvagge tra chi prende tanto e chi non prende niente.

Per l’accordo al Territorio, firmato proprio mentre andiamo in spedizione, vale esattamente lo stesso ragionamento ma con l’aggravante che il 13% del Fondo è stato prelevato per retribuire i dirigenti e che per il budget d'ufficio, che ricorderete, lo scorso anno non era bastato, è stata stanziata la stessa cifra...

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Dogane. Che succederà dal 2 maggio 2004?

L’Unione Europea il 1° maggio si allarga. Questo è un bene. Ma non vorremmo che la festa dei lavoratori diventasse la festa “ai” lavoratori.  E’ chiaro, l’allargamento previsto avrà ricadute forti su tutte le strutture delle Dogane che oggi hanno a che fare con le merci provenienti dai paesi nuovi membri. Le RdB stanno, soprattutto nel Nord-Est, cominciando a porre seriamente il problema a tutti gli operatori del settore. Non vorremmo trovarci in situazioni difficili a cui nessuno aveva pensato per poi, come sindacato, essere obbligati a “concertare” il minore dei mali.

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